martedì 8 aprile 2014

da Edgar a Fernanda, passando per la Vita con Faber...



                                            da Edgar a Fernanda, passando per la Vita con Faber...



Ringrazio di cuore Angela Cecoli per la Nomination.
Uno dei libri più belli che ho avuto la fortuna di leggere in questo quarto di secolo, e' l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Ho letto la traduzione della mitica Fernanda Pivano.
Non so perché, ma nel corso di questo tempo vissuto, le mie scelte di Vita, le mie sensazioni, i miei stati d'animo, l'idea che ti fai di una cosa o di una persona ecc..., sono stati sempre legati alla Musica che ho imparato ad ascoltare e tutto questo grazie soprattutto a mamma Angela che mi ha indirizzato, in maniera un po' crudele( non va troppo bene), alla Sensibilità.
Tra le tante canzoni, tutte poi abbastanza complicate( quelle che riascoltandole non finirai mai di capire quel qualcosa in più che ogni volta capti), ascoltate e riascoltate centinaia di volte ed in circostanze differenti di crescita, tempo e quant'altro, c'è il Suonatore Jones.
Traccia numero 9, traccia che chiude il concept album: "Non al denaro, non all'amore, ne' al cielo" di Fabrizio De Andrè.
Un album del 1971 ma che a mio avviso non ha ne' tempo, ne' età.
Ascoltando questo album e analizzando tutta la storia che ci girava intorno, capii della grandiosità di Edgar Lee Masters, dell'assoluta bravura di Fernanda Pivano nel farlo conoscere, della genialità di Fabrizio De Andrè nel concepire un album intorno alla storia di questi personaggi che significano tanto, che sono dietro l'angolo della quotidianità, che conosciamo con altri nomi o soprannomi ma che comunque fanno parte delle nostre Vite.
Quindi riporto un pezzo dell'Antologia di Spoon River in lingua originale, la traduzione di Fernanda, il testo di Fabrizio.
Il Suonatore Jones mi appartiene, ha capito tutto della Vita, mi emoziona, e nomino Felice Iannini perché credo che in qualche modo, abbia a che fare anche con Lui.
FIDDLER JONES di Edgar Lee Masters
The earth keeps some vibration going
There in your heart, and that is you.
And if the people find you can fiddle,
Why, fiddle you must, for all your life.
What do you see, a harvest of clover?
Or a meadow to walk through to the river?
The wind's in the corn; you rub your hands
For beeves hereafter ready for market;
Or else you hear the rustle of skirts.
Like the girls when dancing at Little Grove.
To Cooney Potter a pillar of dust
Or whirling leaves meant ruinous drouth;
They looked to me like Red-Head Sammy
Stepping it off, to Toor-a-Loor.
How could I till my forty acres
not to speak of getting more,
With a medley of horns, bassoons and piccolos
Stirred in my brain by crows and robins
And the creak of a wind-mill - only these?
And I never started to plow in my life
That some one did not stop in the road
And take me away to a dance or picnic.
I ended up with forty acres;
I ended up with a broken fiddle -
And a broken laugh, and a thousand memories,
And not a single regret.
IL VIOLINISTA JONES (Il suonatore Jones) di Fernanda Pivano
La terra emana una vibrazione
là nel tuo cuore, e quello sei tu.
E se la gente scopre che sai suonare,
ebbene, suonare ti tocca per tutta la vita.
Che cosa vedi, un raccolto di trifoglio?
O un prato da attraversare per arrivare al fiume?
Il vento è nel granturco; tuti freghi le mani
per i buoi ora pronti per il mercato;
oppure senti il fruscio delle gonne.
Come le ragazze quando ballano nel Boschetto.
Per Cooney Potter una colonna di polvere
o un vortice di foglie significavano disastrosa siccità;
Per me somigliavano a Sammy Testarossa
che danzava al motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare i miei quaranta acri
per non parlare di acquistarne altri,
con una ridda di corni, fagotti e ottavini
agitata nella mia testa da corvi e pettirossi
e il cigolìo di un mulino a vento - solo questo?
E io non iniziai mai ad arare in vita mia
senza che qualcuno si fermasse per strada
e mi portasse via per un ballo o un picnic.
Finii con quaranta acri;
finii con una viola rotta -
e una risata spezzata, e mille ricordi,
e nemmeno un rimpianto.
Il suonatore Jones di Fabrizio De Andrè
In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità,
a me ricordava la gonna di Jenny
in un ballo di tanti anni fa.
Sentivo la mia terra vibrare di suoni: era il mio cuore
e allora perché coltivarla ancora,
come pensarla migliore?
Libertà l’ho vista dormire nei campi coltivati
a cielo e denaro, a cielo ed amore,
protetta da un filo spinato.
Libertà l’ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato
per un fruscio di ragazze a un ballo
per un compagno ubriaco.
E poi la gente lo sa, e la gente lo sa che sai suonare,
suonare ti tocca per tutta la vita
e ti piace lasciarti ascoltare.
Finì con i campi alle ortiche, finì con un flauto spezzato
e un ridere rauco e ricordi tanti
e nemmeno un rimpianto.
Dov'è Jones il suonatore
che fu sorpreso dai suoi novant'anni
e con la vita avrebbe ancora giocato.
Lui che offrì la faccia al vento,
la gola al vino e mai un pensiero
non al denaro, non all'amore né al cielo.
Lui sì sembra di sentirlo
cianciare ancora delle porcate
mangiate in strada nelle ore sbagliate.
Sembra di sentirlo ancora
dire al mercante di liquore
"tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?".

mercoledì 24 ottobre 2012

Quando si parla di qualità a poco prezzo...






Cataldi Madonna Pecorino Giulia 2010




Consiglio questo Vino! Fatto con un uve pecorino ma non di certo i ruffiani profumatissimi che hanno preso piede ora, soprattutto negli aperitivi abruzzesi.
Agrumato, fresco, amabile, particolarissimo.(non avrei mai pensato ad un pecorino così)...ma del resto viene da Ofena(AQ) e soprattutto da una cantina seria che svolge ormai da anni una buona filosofia...
13€ in enoteca!Ottimo direi...

Omaggiando Chicco e Bob...




Prove serali lunedi 22 ottobre 2012



venerdì 5 ottobre 2012

Musica & Parole...


Caldo e Scuro di Francesco De Gregori
Mattia Ravioli chitarra acustica, armonica e voce.




sabato 10 marzo 2012

Josko Gravner secondo noi...


Caro Andrea la penso esattamente così...




“I miei vini capiscono benissimo chi hanno davanti. E si comportano di conseguenza. Se chi li beve è diffidente, si chiudono”. Josko Gravner è un filosofo applicato alla vite. Un contadino senza tivù, che legge molto e, quando va al ristorante, si porta il vino da casa. “Ormai è l’unico che bevo. Sono stato in California nell’87 e ho capito cosa non volevo fare nella vita. Ho sbagliato e sbagliato. Col tempo ho imparato a fare vino per me stesso. Mezzo chilo a vite, 25-30mila bottiglie l’anno quando potrebbero essere almeno il doppio. Io so che è buono: poi può piacere o no, ma riflette la mia vita”. Oslavia, due passi dal confine sloveno. Terroir di vino e guerra, un ossario con 60mila morti e i vigneti che sputano ancora proiettili e granate dalla Grande Guerra. La casa di Josko, quasi invalicabile “perché spesso chi viene qui desidera solo vedere da vicino ‘il matto’”, è tra le poche rimaste in piedi dopo il primo conflitto mondiale. Fungeva da infermeria. Josko ha occhi timidi, sguardo vigile e modi antichi. Ha rivoluzionato il mondo del vino, attingendo da biologico e biodinamico senza legarsi a nessuno. Ha seminato come un eretico troppo avanti, persino per se stesso, e il cruccio è non avere eredi. In tanti lo imitano, in pochi gli somigliano, nessuno lo eguaglia. “Il contadino è solitario per vocazione. Individualista, come lo scalatore: qualsiasi compagno ti appesantisce se vuoi arrivare alla cima. Il vino è sacrificio. L’unica evoluzione è tornare indietro”. Ovvero lavorare a scomparsa, come lo scrittore che antepone al virtuosismo il minimalismo. I vigneti coi nidi di cinciallegre, i lieviti indigeni, di barrique neanche a parlarne. “Il vino buono è come l’acqua pulita, va cercato alla sorgente e non alla foce”. Unica deroga, lo zolfo: “L’uomo lo usa da 2000 anni. Ho provato, ma non ci si può rinunciare. Il naturale processo di evoluzione dell’uva non è il vino ma l’aceto: la solforosa, in piccole dosi, lo modifica”. Il sancta sanctorum di Gravner, utopista radicale frainteso per burbero, è una cantina disadorna dove tutto ha la sua funzione (anche le ragnatele), che si sublima nella cripta delle anfore. Quaranta, di terracotta, interrate. Sembrano gli involucri di Cocoon: generatori di vita che – al contrario del film – incentivano l’invecchiamento. “Anatolia, Mesopotamia, Caucaso: il vino è nato lì. E nell’antichità si usavano le anfore. Il recipiente che permette di non perdere contatto con la terra. Le faccio costruire nel Caucaso dal 2001: le mie annate precedenti non mi somigliano”. L’anfora è l’utero. “Dopo nove mesi, e adesso un anno, il vino deve nascere. Come un bambino. La botte grande rappresenta la successiva educazione”. I vini, che Josko si premura di far degustare in ciotole di vetro che esasperino la percezione tattile, non vanno sul mercato prima di 7 anni. “Un numero magico, il periodo lungo il quale l’uomo sostituisce tutte le proprie cellule”. Più di qualsiasi altro esponente dei “vini veri” o “naturali”, Gravner insegue un’idea ancestrale di enologia. Produce vino come una opera d’arte spontanea che, suo malgrado, per reiterarsi ha bisogno dell’uomo. L’annata botritizzata 2008, impreziosita dalla muffa nobile, non verrà mai venduta. Riposa in una botte. “E’ l’ultima vendemmia fatta con mio figlio Miha”. Scomparso nel 2009 in un incidente. Josko ne parla con rispetto immacolato, come una guida immanente che veglia discreta sul viaggio a ritroso del padre. La lunga macerazione a cui sono sottoposti i bianchi, inevitabilmente celebri, li rende antitetici al gusto omologato. A partire dalla Ribolla Gialla (30 euro più Iva in enoteca). Persistente, dotata di tannino e struttura. Stupefacente sin dal colore. L’anfora ne esaspera la “stranezza”. Può spiazzare. Eppure, in questo cavaliere solitario di un’Apocalisse morbida, che scorteccia credenze e finzioni, c’è un rigore che scuote. Un candore che ammalia. E una diversità così ostinatamente inseguita, da apparire miracolosamente salva.  


(Il Fatto Quotidiano, 4 marzo 2012. Uno degli incontri più intensi e teneri del mio peregrinare. Avrei potuto scrivere molto di più, ma certe cose mi piace tenerle tutte per me)











domenica 22 gennaio 2012



                                                                  Il coraggio di saper scegliere il bene...














‎"...Quante belle persone ho incontrato nel percorso della Vita, ognuna mi ha stupito a modo suo, ognuna mi ha lasciato qualcosa, ognuna mi ha chiesto sincerità, ognuna non pretendeva qualcosa, qualcuna si, ognuna stupiva me stesso, ognuna restava incredula ai miei gesti, alcuni restavano di stucco al pensiero della mia pazzia, ognuna accettava me stesso per quello che ero, ognuna sputava sentenza per ciò che fossi agl' occhi degl' altri;
tutte quante però sono all'interno del mio cuore, e saprei riconoscerle anche fra cent'anni..."

                 
                                                                                                                        Mattia Ravioli